PARROCCHIE OLTREPIAVE

STORIA
L′annuncio portato da Aquileia
La tradizione marciana, di matrice leggendaria, individua in San Marco l’evangelizzatore di Aquileia. Questi inviato da S. Pietro condusse con sé Sant’ Ermagora a Roma e lo fece ordinare dallo stesso San Pietro primo vescovo di Aquileia. Nella lista dei vescovi di Aquileia risulterebbe, però, un Sant’ Ermagora, primo della serie dei vescovi, attorno alla metà del terzo secolo [P. Paschini] ed è per questo possibile ipotizzare che Sant’ Ermagora e San Marco non fossero contemporanei. E’ però nostra opinione [7] pensare che la leggenda poggi su un qualche fondamento storico, ovvero il formarsi della prima comunità in epoca apostolica, legata alla Chiesa di Alessandria (G. Biasutti), sul quale la tradizione verbale ha poi costruito una narrazione leggendaria, in quanto l’importanza[1] politica...
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FOGLIETTO SETTIMANALE
Le attività parrocchiali sono consultabili, di settimana in settimana, sul foglietto settimanale e in bacheca.
CHIESE
Sant′Orsola
La chiesa, cappella funeraria dedicata a Sant’Orsola, è sorta nell’odierna piazza di Vigo; al suo interno presenta il ciclo pittorico più interessante e prezioso di tutta la valle cadorina. Il Ronzon (1874) la dice “costruita nel 1344 dalla pietà di Ainardo da Vigo, forse la più antica chiesa della diocesi con data di costruzione certa”[1].
Ainardo, figlio di Odorico podestà del Cadore per conto dei Caminesi, era un rappresentante della classe dirigente cadorina legata ai Da Camino, i quali risiedevano a Serravalle. Ed è proprio a Serravalle che Ainardo, ormai malato, redige il suo testamento il 20 maggio 1346, disponendo di essere sepolto nel locale cimitero di Sant’Andrea di Bigonzo, in attesa di essere traslato nella chiesa di Sant’Orsola[2], lasciando inoltre dei beni immobili nella marca trevigiana a disposizione dei rettori di Sant’Orsola. Il prestigio di Ainardo è visibile in molte vicende cadorine del XIV secolo; è importante metterlo in risalto durante la dominazione tedesca (1337-1347), quando il Cadore divenne il crocevia di transiti commerciali e si sviluppò una particolare rete di scambi con la bassa Austria; questo spiegherebbe inoltre il matrimonio di Ainardo con Margherita di Leisach (nei pressi di Lienz). Partecipò pure alla stesura degli Statuti Cadorini del 1338.
Carlo Rapozzi, alla metà del ′900, pubblicò alcuni studi sulla chiesa che sono consultabili presso la Biblioteca Storica Cadorina di Vigo di Cadore o presso l′Archivio Storico di Belluno Feltre Cadore. Tra l′altro scrive che l′autore degli affreschi della chiesa di S. Orsola, eseguiti tra il 1346 e il 1350, è forse Bernardo da Serravalle.L′affresco di Vigo di Cadore presenta analogie con quello di S. Orsola nella cappella vecchia del Castello di S. Salvatore di Susegana (Conegliano), eseguito dallo stesso pittore.
Secondo l’interessante studio di Tiziana Franco fatto sulla chiesa di Sant’Orsola, i dati certi sono tre: La chiesa è già costruita nel 1345. Fino al luglio del 1348 essa non è consacrata. Almeno nelle indicazioni testamentarie di Ainardo e Giusto (fratello di Margherita ed erede del patrimonio di Ainardo) essa dovrebbe raccogliere le loro tombe. La dedicazione a Sant’Orsola dovrebbe essere avvenuta a cavallo tra il 1349 e il 1350.

Il ciclo pittorico
Nel corso degli anni molti furono gli studiosi d’arte affascinati dalla bellezza del ciclo pittorico della chiesa di Sant’Orsola; essendo ignoto l’autore degli affreschi, sono stati accostati vari nomi di artisti (Tomaso da Modena, Vitale da Bologna, Vitulino da Serravalle), tutti legati a quel filone riminese diffuso in Friuli, ma che in Cadore rimane episodio isolato e senza sviluppi locali[3]. In un articolo degli anni ’50, del XX secolo, scritto dal dott. De Lotto e pubblicato nel “Il Gazzettino” si parla di un graffito letto dal professor Mor dell’Università di Modena che rivelerebbe la data, il nome del committente e forse l’autore, di cui però nel corso degli anni si è persa la memoria. Il ciclo si mostra ai nostri occhi diviso in tre registri da delicate cornici ornamentali: il primo registro ci presenta un motivo decorativo chiamato velum con delle singolari figure che ne reggono i lembi. “Due di queste figure si trovano ai lati dell’altare; una terza atteggiata come se spostasse con forza il drappo verso sinistra per stenderlo”, è a metà circa della parete destra e tutto fa pensare che avesse un corrispettivo su quella opposta, dove ora si apre la cappella di San Lazzaro[4], (nella quale è presente una tela dedicata al santo[5]). Il secondo invece ci presenta la descrizione della storia di Sant’Orsola in dieci scomparti affrescati, purtroppo menomati nella parete di sinistra, dove è stata aperta la postuma cappella laterale. Nel terzo registro la Vergine con il bambino campeggia contro l’azzurro della volta celeste. La circondano i simboli dei quattro evangelisti e, in origine, dovevano risplendere delle stelle dorate. Sulla parete di fondo campeggia la crocifissione con una descrizione biblica degli avvenimenti accaduti attorno al calvario. La parte alta della parete d’ingresso è occupata da una scena della vita di San Giorgio ambientata in un paesaggio roccioso. Sotto di essa dovevano esserci tre riquadri. Ne restano soltanto due che rappresentano San Martino e San Daniele. Il Rapozzi suggerisce che questi Santi ′sono stati oggetto di particolare devozione a Vigo e nel suo territorio”[6]. A nostro avviso il ciclo di Sant’Orsola è un ‘espressione eccezionale di arte gotica; ricordiamo che il professore Bettini (1933) considera la migliore opera gotica italiana la “ Divina Commedia” perché segna il passaggio dall’oscurità alla luce in maniera totale ed incisiva. Nella chiesa di Sant’Orsola questo passaggio simbolico e teologico è espresso nei tre registri: il primo (livello delle pitture del velum ma, soprattutto, delle persone che entrano in chiesa) è identificabile con l’uomo peccatore che vive sulla terra; come ci ricorda San Paolo “E non c’è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù”. (S. Paolo, Let. ai Romani 3, 23-24). Il secondo registro, appena più alto del livello umano, ci mostra la santità di Sant’Orsola acquisita tramite la fede, la speranza e l’esercizio della carità. La santa vedeva le forze oscure, demoniache, come immagini bestiali (in questo caso Attila) e percepiva che il suo scopo è sopraffare una dimensione selvaggia, maligna. E, come contrapposizione a questo mondo sotterraneo di bestie passionali e feroci si poneva il mondo celeste, spirituale, il mondo di Dio. La fermezza di andare incontro al martirio per coerenza di fede e per poter liberare Colonia dagli Unni rivela un grande gesto di lotta spirituale. Chiunque ama sa quanto sia raffinato il mondo dell’amore e quanto sottile sia l’inganno, ma il “giusto vivrà mediante la fede” (San Paolo, Let. ai Romani 1, 17). Il terzo registro, detto anche teologico, da risalto alla crocifissione di Cristo, il momento fondamentale della manifestazione dell’Amore di Dio. Il figlio di Dio si consegna completamente all’uomo, lasciando che l’uomo compia verso di Lui la violenza del male. Cristo sulla croce si è fatto servo, un servo così umile che anche i servi lo possono percuotere ed umiliare fino alla morte di croce. Il Padre, permettendo la passione e la morte del Figlio, coronata dalla resurrezione, ha voluto che il mondo si scopra amato da Lui e arrivi a tal modo alla vera conoscenza. E l’uomo “scopre” che la nefandezza e l’iniquità fanno parte del suo essere, nascono dal suo comportamento. La chiesa di S. Orsola è stata visitata da Papa Benedetto XVI nel luglio 2007, che vi si è trattenuto in preghiera. Nel 2008 l′arcivescovo di Colonia Card. Joachim Meisner fece dono della reliquia di Santa Orsola (frammento osseo) che è conservata in teca reliquiario


[1] A. Ronzon, Dal Pelmo al Peralba, vol. I, 1874.

[2] T. Franco, Gli affreschi della chiesa di Sant’Orsola di Vigo di Cadore, p.11.

[3] G. Dalla Vestra, I pittori bellunesi prima del Vecellio, 1975, pp. 14-19.

[4] T. Franco, Gli affreschi della chiesa di Sant’Orsola di Vigo di Cadore, p.18.

[5] Secondo Carlo Rapozzi il quadro è opera del Tommaso Vecellio (1587-1629) che lo eseguì tra il 1609 e il 1610.

[6] T. Franco, Gli affreschi della chiesa di Sant’Orsola di Vigo di Cadore
B. V. della Difesa
Sul lato sinistro della chiesa parrocchiale si erge la chiesa della Difesa, costruita da Nicolò Ruopel. L’edifico fu fortemente voluto come voto fatto dalla popolazione nel 1509, al tempo dell’invasione tedesca. Si narra che l’esercito di Massimiliano d’Asburgo durante l’avanzata trionfale verso Venezia, superato il ponte di Pelos e intrapresa la strada per Vigo, improvvisamente fu abbagliato dalla luce divina che rese ciechi i soldati e non permise loro di distruggere i paesi d’Oltrepiave[1]. La chiesa è un esempio importante della diffusione del gotico in Cadore e della sua persistenza fino ad epoca tarda. Lo stile gotico ebbe un periodo di sviluppo così ampio nell’area cadorina grazie “alla sua forma intera e genuina che meglio esprime il sentimento religioso e meglio si integra con la natura circostante. Pare a me (Frova, 1908) che in quel paesaggio sublime e insieme raccolto, fra vette ardite e fitte selve il gotico esprima meglio l’unione tra natura - religione – arte”[2]. La chiesa della difesa, eretta nel 1512, si distingue grazie alle sontuose nervature reticolate con l’aggiunta di elementi ornamentali (stelle-rosoni) e all’eleganza nel complesso della sua architettura. Le pareti interne presentano degli affreschi, compresa una Resurrezione sulla parete absidale, di diverse mani, ascrivibili nell’ambito di maestranze locali; mostrano ingenuità formale e spaziale ma si distinguono per la particolarità di mettere in relazione le scene bibliche con lo scenario cadorino del tempo.
All’interno l’edificio è arricchito da due preziosi dipinti tradizionalmente attribuiti a Nicola Grassi, raffiguranti L’ultima cena e Le nozze di Cana; un quadro anonimo con caratteristiche formali nordiche è del 1666 raffigurante il Paradiso e l’inferno con due maestosi arcangeli in primo piano che giudicano le anime. Sicuramente l’opera più bella che la chiesa della difesa conserva è la pala d’altare raffigurante San Rocco e San Sebastiano attribuita a Cesare Vecellio; l’operazione di restauro effettuata dall’università di Venezia ha permesso il totale recupero dello splendore iniziale.
La pala proviene dall’altare dei santi Rocco e Sebastiano dell’adiacente chiesa parrocchiale di Vigo, da cui fu asportata probabilmente nel 1894, quando al suo posto fu posizionata una tela di analogo soggetto del pittore di Laggio Tommaso Da Rin[3]. Il bel dipinto è profondamente diverso dalla “Decollazione del Battista” e dalla “Santa Caterina” e sembra affine alle imprese maggiormente impegnative del pittore cadorino[4]. Spesso Cesare dipinse questo soggetto, grazie al culto sviluppatosi attorno al XV secolo: San Rocco e San Sebastiano erano venerati come protettori dalla peste, che per secoli aveva sterminato la popolazione europea, senza risparmiare la regione cadorina.
La tela di Vigo sembra riscontrare una conoscenza diretta dell’opera di Tiziano, visibile nella struttura fisica e dagli abiti disposti nella stessa maniera dal grande maestro in un’opera del 1540, ora conservata in Vaticano; ma è soprattutto per lo sviluppo dell’orizzonte, con un gioco di colori rosati che s’irradiano attorno alla colomba divina, che la tela si distingue come opera di straordinario valore. L′aggiunta postuma, alla base, di due santi è forse il rimedio a una bruciatura sofferta dalla tela.
La chiesa conserva pure il paliotto dei Chiantre e l’interessante fonte battesimale che, con ogni probabilità, è quello del 1347 appartenente alla chiesa plebana di S. Martino.


[1] A. Frova, Chiese Gotiche Cadorine, Milano 1907, p.22.

[2] Ibidem

[3] T.Conte, Cesare Vecellio 1521-1601, Belluno 2001, p. 167.

[4] Ibidem
San′Antonio Abate
E’ lecito supporre [1] che l’edificio sorto sul col di “Pertegona” nel secolo XV fosse il primo edificio religioso edificato a Laggio. La prima menzione ufficiale risale al 10 gennaio 1454, allorché una Caterina, figlia del fu Biteo da Tablerio e moglie di Antonio Da Ronco di Vigo, ordinò per testamento ai suoi eredi di provvedere ad una elemosina alla chiesa di S. Antonio di Laggio. Non siamo in grado di precisare l’anno esatto dell’erezione ma, certo, il merito spetta a Giacomo di Salagona, figlio di Ottone. Nell’atto di testamento, oltre ad istituire diversi lasciti a parenti e chiese, Giacomo dichiara esplicitamente di aver fatto costruire “ad honore di Dio e di San Antonio di Vienna (veniva così conosciuto perché, all’atto della traslazione da Costantinopoli in Occidente le reliquie del Santo, furono custodite, in Francia, nella chiesa di Sant’Antoine de Viennois) una chiesa nella Villa di Laggio a tutto suo costo et spese”.
Il primitivo edificio non era molto diverso dall’attuale, al punto che si può affermare che si è mantenuto identico nel tempo per circa tre quarti della sua lunghezza (in tempi successivi fu costruito l'attuale presbiterio). Sicuramente era una chiesa di ancor più piccole dimensioni con la facciata rivolta ad occidente e il coro ad oriente, dall’inconfondibile stile gotico, in particolare dal fitto incrocio delle nervature del soffitto che, partendo da mensole e pilastrini, convergono in volte a stella.
. La chiesa fu dedicata a San Antonio Abate perché in quel secolo infieriva in tutta Europa l’ “erpete zoster”, una malattia arrivata in occidente al tempo delle crociate, contro la quale si invocava la protezione e il soccorso del celebre anacoreta della Tebaide (Egitto), dal quale il morbo fu detto appunto “fuoco di S. Antonio”. Con atto del 21 ottobre 1680 il Chiarissimo Sig. Cardinal Dolfino Patriarca di Aquileia concedeva l’istituzione della mansioneria.
Numerose le opere d’arte presenti tra le quali si annotano la pala d’altare di Tommaso Da Rin Betta, pittore nativo di Laggio, raffigurante i Santi Antonio abate, Floriano e Carlo, l’altare della Madonna del Rosario, con la pala di Giuseppe Heintz il giovane, e l’altare della Annunciazione, con la pala di Giovanni Antonio Zonca.
La chiesa è retta amministrativamente dal Capitolo di Sant'Antonio.
San Daniele
San Daniele (profeta) è venerato dalla nostra comunità fin dai tempi antichi. Una sua trecentesca immagine affrescata è presente nella chiesa di S. Margherita in Salagona. La vecchia chiesetta andò incontro all'usura del tempo per cui la attuale, ricostruita alla metà del 1800 sul Col de Poeca a circa 1200 metri, è raggiungibile mediante un sentiero impervio. E' meta di visite e pellegrinaggi soprattutto in corrispondenza della festa liturgica del Santo che si tiene il 28 agosto.
Nel corso del 2014 è stata oggetto di restauri.
S.S. Trinità
L'attuale chiesa della piccola frazione di Piniè, località fondata nel 1633 da Bastian Da Rin, è dedicata alla SS. Trinità. Fu edificata nel 1953 su progetto del geom. Fabio Da Rin delle Lode.
La vecchia chiesa era dedicata a San Bartolomeo.
Santa Margherita
La chiesa più antica della vallata (1205?) è quella dedicata a Santa Margherita, sorta nello splendido pianoro di Salagona, proprio all’interno del comune di Vigo. Essa ricalca l’impostazione delle chiese primitive della zona che, a livello architettonico erano delle stanze comuni a pianta quadrilatera di modeste dimensioni, orientate sull’asse est-ovest, che davano notevole importanza al simbolo del sole nascente in relazione a “Cristo come nuova luce per il mondo”.
All’interno il ciclo della chiesa di Santa Margherita, come ben descrive Giorgio Fossaluzza è una delle “[…] tappe, tra le ultime di un lungo percorso della pittura veneziana bizantineggiante visto in moltissime varianti nella Terraferma”[1].
Importante è anche la testimonianza offerta da F. Velluti, che, ricercando le costruzioni architettoniche legate al dominio caminese, parla della chiesa di Santa Margherita come di “ una piccola chiesetta che serra al suo interno un ciclo pittorico di straordinaria completezza raffigurante, in un registro a scomparti, episodi cristologici e teorie di santi. Lo stile è ancora arcaizzante e malgrado la probabile datazione ai primi anni del XIV secolo, presenta ancora caratteri di tipo duecentesco. La chiesa è definita per tradizione caminese”.[2] A confermare l’appartenenza della chiesa alla tradizione dell’area trevisana per il Velluti “[…] contribuiscono i velari della zona basamentale nei quali ricorrono motivi scalari a regalizier o a squame lobate che sono frequenti nella decorazioni murali duecentesche delle case di Treviso”[3].
A livello iconografico sono da evidenziare le scene della Natività di Cristo, della Missio Apostolorum e della Deesis, (Cristo Giudice in trono) che mostrano ancora un attaccamento alla cultura bizantina. A livello stilistico, invece, è certa l’attribuzione del ciclo a due diversi artisti: il maestro principale, vale a dire colui che ha affrescato la Deesis e la Vergine tra i Santi, è caratterizzato da un deciso delineamento dei contorni qualificati da una grossa linea scura. Le figure sono maestose e ieratiche mentre i lievi gesti sono incisivi, ma rigidi. La caratteristica più interessante dell’artista è nella sua capacità di articolare i vari panneggi in robuste linee curve che arricchiscono di maestosità i corpi. I restanti riquadri sono attribuibili ad un altro frescante che non usa marcature violente ma piuttosto toni uniformi, delicati e piuttosto sfumati di giallo ocra e verde pallido. La cadenza è frontale, ma è allentata da leggeri movimenti e gesti che rompono la ieraticità tipica dell’arte bizantina.
Questo artista ha un’ indubbia capacità di disporre le figure nello spazio, visibile soprattutto nel riquadro della Missione degli Apostoli dove i corpi piegati ed espressivi creano un effetto di profondità sorprendente.
La chiesa quindi rappresenta una delle ultime testimonianze di un’arte antica, databile a cavallo tra i secoli XIII e XIV, presente in un territorio lontano dai centri più importanti.


[1] G. Fossaluzza, Gli affreschi nelle chiese della Marca trevigiana dal Duecento al Quattrocento, vol. 1.I, Treviso 2003, p. 143.

[2] F. Velluti, Il dominio dei Caminesi tra Piave e Livenza, Vittorio Veneto 1988, p. 124.

[3] Ibidem.

[4] G. Passatelli, “Ciclo pittorico di santa Margherita”, in Tesori d’arte dell’alto bellunese, Vigo di Cadore a cura di R. Bernini, p. 71.
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